domenica 25 marzo 2012

25 marzo a Venezia: Annunciazione, infiorata ed ingresso del nuovo Patriarca

Oggi, 25 marzo, si ricorda il natale di Venezia che, secondo la leggenda, sarebbe stata fondata in questo giorno dell'anno 421 d.C. 
Il giorno è dedicato anche alla Madonna, in quanto ricorrenza dell'Annunciazione, e la nostra città, appunto dalla sua "fondazione" e nel corso dei secoli, è sempre ricorsa alla Madre di Dio nei momenti del bisogno.
Se si fa caso, moltissime sono le chiese di Venezia e della laguna dedicate a Maria e questo, forse,  perché l'uomo -nel momento del bisogno dalla tenera età fino alla maturità ed anche nella vecchiaia- si rivolge sempre alla mamma.  E, quindi, nei momenti più difficili, i credenti si rivolgono alla mamma celeste.
Da decenni, i fedeli veneziani usano, in questo giorno,  recarsi nel piazzale della stazione ferroviaria, dove si trova una bella statua -di fattura moderna- (mi sembra di Murer) dell'Annunciazione, ed assistere ad una breve cerimonia di preghiera lasciando fiori ai piedi della Madonna; si chiama la cerimonia dell'infiorata.
Oggi questa cerimonia ha assunto un particolare significato per l'ingresso del nuovo Patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia.
Ovviamente c'era molta gente, soprattutto bambini, ma anche adulti. Il Patriarca doveva arrivare da Piazzale Roma attraverso il Ponte della Costituzione e, quindi, gli addetti al servizio avevano creato un corridoio nel quale, da ambo i lati, si trovavano i bambini.
Quando arrivò il Patriarca, che sorrideva e salutava, scorsi immediatamente dietro di lui le cosiddette autorità civili: sindaco, presidenti della provincia e della regione; ma non solo: autorità militari e politici con segretari, portaborse, lacché, sodali e quant'altro! Tutta gente che poi sarebbe andata all'insediamento ufficiale in Basilica di San Marco e che si è inserita nel corridoio davanti ai bambini nascondendo loro il Patriarca e la breve cerimonia di preghiera. 
Possibile che queste persone debbano essere sempre in mezzo?     

Come si può notare nella foto sottostante, presa alzando al massimo la macchina sopra la testa, il Patriarca non si vede perché nascosto dai personaggi di cui sopra; i bambini ed i ragazzi non vedevano nulla!!!

mercoledì 21 marzo 2012

Libertà si, libertà no ... in rete.

Letti articoli su diversi "media",fra cui quello su Avvenire , per curiosità, ho voluto andare a vedere il sito nel quale, fra l'altro, sono state pubblicate le liste antisemite; si tratta di un elenco di nominativi  di professori universitari ed intellettuali italiani che vengono indicati come "spie d'Israele". Il sito, quello in italiano, inizia con il segno della croce! Direi, visto quello che segue, ... una bestemmia! 
Dire che è orripilante è poco; in effetti non saprei come definirlo (il sito), mentre so bene come definire chi ci sta dietro: STRONZI!!! (per farmi usare questi termini e questo linguaggio ce ne vuole).
Si discerne, un po' dappertutto, se la rete debba essere assolutamente libera o se qualcuno, ma non si sa bene chi, debba, invece,  mettere dei paletti. Certo è che la libertà altrui non può porre dei limiti alla mia libertà ed a quella di tanti altri e, soprattutto, in nome di una libertà utopica non è permesso istigare all'odio razziale pubblicando ... "stronzate"!!!
Scusate, ma ci voleva!     

lunedì 19 marzo 2012

Il 17 marzo u.s. si sono concluse le celebrazioni dell'Unità d'Italia e .........


FATTA L'ITALIA ... INIZIA L'EMIGRAZIONE
Canti e storie del fenomeno emigrazione

Il muoversi di genti attraverso diversi paesi è un fenomeno che esiste da sempre, da quando l'uomo, ancora nella preistoria, si muoveva per trovare territori migliori, prima per cacciare e poi per fermarsi e fare l'agricoltore.
A volte potevano essere conseguenza delle guerre, come è il caso, secondo la leggenda, dei Veneti che, provenienti dalla Paflagonia, al seguito delle navi di Antenore che fuggiva da Troia, giunsero nell'attuale Veneto sovrapponendosi all'etnia esistente, gli Euganei.
Molto più probabilmente il movimento dei veneti avvenne attraverso la penisola balcanica; questi occuparono la pianura, vicino alle coste, ai laghi ed ai fiumi senza inoltrarsi fra le montagne, che, invece, e- rano zone di tribù celtiche sempre in lotta con i veneti.
Ma anche quelle che noi chiamiamo invasioni barbariche furono, in effetti, delle forme di migrazione: non si muovevano solo eserciti ma popoli interi.
Alcuni passavano, altri si fermavano lasciando testimonianze che ritroviamo ancora oggi: basti pensare ai toponimi longobardi di molte località della Lombardia e del Friuli dove, rispettivamente, finiscono in ate e in acco: Gallarate, Lambrate, Carate Brianza, Limbiate, Bollate, Linate,ecc. e Cassacco, Grimacco, Cussignacco, Moimacco, Pagnacco, Tavagnacco ecc.
Ci furono canti, come li consideriamo oggi, relativi a quegli eventi? Non si sa e non credo, anche perché allora, il canto, come la danza, erano espressioni di culto; troviamo, invece, leggende e storie varie che poi si sono innestate con fatti successivi. (vedi Donna lombarda).1
Se l'emigrazione è sempre esistita, fu però nel periodo immediatamente successivo all'unità d'Italia che il fenomeno ebbe un incremento notevole.
Quali sono state le cause?
Molteplici direi, ma la principale è, senz'altro, la miseria che regnava nelle nostre terre, soprattutto nelle campagne: le proprietà erano di poche famiglie e chi vi lavorava era sfruttato al massimo e se non serviva veniva messo da parte.
A cavallo tra '800 e '900  nella campagna veneta, in questo caso nella campagna proprio alle porte della città di Venezia, regnavano fame e malaria. Era tutta palude la zona a ridosso delle lagune veneziane, zona dove imperversava la malaria e dove i contadini, più che altro disperati, vivevano sperando, invano, in un lavoro per poter far mangiare i figli che crescevano fra malattie, superstizioni, violenze ed alcoolismo.2
Secondo i rapporti sanitari lungo il Terraglio, "… su 769 capifamiglia, 727 sono catalogati come "villici".
Il 65% della popolazione adulta non sa leggere e scrivere, su 6.362 abitanti ci sono 541 pellagrosi.
L'ospedale di Mogliano accoglie malati da tutto il Veneto; alla fine dell'Ottocento si registrano nella regione oltre 10 mila morti per pellagra".
Era la malattia delle tre "d": dermatiti, diarrea, demenza. La malattia della fame, dovuta all'eccessivo consumo di polenta:
"Polenta da formenton / a- qua de fosso / lavora ti paron / che mi no posso".3
Il consumo medio di vino pro-capite, che nel 2001 ha superato di poco i 50 litri, era un secolo fa, nel decennio 1901-1910, di 126 litri.
In quel periodo l'emigrazione italiana si diresse principalmente verso il sud America, Brasile ed Argentina.
Nel 1871 una legge, detta del Ventre Libero, sancì l'inizio della fine della schiavitù in Brasile.
Da quel momento i figli di donne schiave sarebbero stati liberi; nel 1888 la schiavitù fu abolita. La manodopera degli emigranti Italiani sostituì in buona parte quella prestata fin allora dalle persone usate come schiavi: in quanto bianco e cattolico l'immigrato italiano era trattato diversamente dagli schiavi di colore, ma la qualità della vita effettiva era di poco superiore, e poi le condizioni di lavoro difficili, la mentalità schiavista di molti proprietari terrieri portarono il governo italiano a proibire l'emigrazione in Brasile con il Decreto Prinetti del 1902.
I canti di emigrazione sono, in origine, canti di lavoro e di amore. Nascono nella prima metà dell’Ottocento legati alle migrazioni periodiche di boscaioli, carbonai, minatori e girovaghi in genere.
Tutti mi dicon Maremma è tra i più antichi e si riferisce appunto agli spostamenti stagionali interni al paese: chi canta lamenta i disagi del lavoro faticoso e malpagato e impreca perché ha perduto la donna amata.
A partire, poi, dalla grande emigrazione, essi mitigano il dolore della partenza, assicurano contro gli incerti del viaggio e alimentano la speranza di fare l’Ame- rica.
Su la place di Tarnep 4 è una delle tante villotte di saluto alla morosa e di speranza del ritorno e, come tutte le villotte friulane, solo di pochi versi.
Altri titoli di canti molto noti sono: Montagnutis 5, Biel vignint da l'Ongjarie 6, L'è ben ver che mi slontani 7, tutti friulani, ma, d'altra parte, il Friuli fu una delle zone di maggior fornitura di emigranti.
La nostalgia, ma anche i sentimenti amorosi, sono molto spesso presenti nei canti degli emigranti; quelli indicati sopra ne sono un classico esempio, come anche Ma se ghe penso 8  famoso canto di nostalgia genovese.
E da Genova partivano le navi che dovevano attraversare l'oceano e portare gli italiani nelle nuove terre a cercare la fortuna, o meglio, una vita di lavoro, ma anche e soprattutto una vita dignitosa.
Spesso queste canzoni sono nate su melodie popolari conosciute, adattandovi testi semplici e immediati, di cui vi possono essere varianti regionali che di poco si discostano nei contenuti.
Il tema dominante delle composizioni popolari è quello dell'addio, sempre molto sofferto; seguono le peripezie del viaggio, spesso affrontate su bastimenti che impiegano settimane a coprire le lunghe distanze ed ancora il timore dell'impatto con la nuova realtà che li attende costumi, tradizioni, clima e, soprattutto, lingue diverse e, infine, la nostalgia, struggente compagna di viaggio, delle persone e dei luoghi cari lasciati.
Uno dei canti più famosi che prende il titolo di Emigranti9, ma anche Trenta giorni di nave (macchina) a vapore (dal primo verso) è il simbolo di questa epopea e riassume ed evidenzia quelle che furono le difficoltà, ma anche l'orgoglio, di centinaia di migliaia di concittadini che abbandonarono l'Italia per poter condurre, assieme alla famiglia, una vita dignitosa anche se non esente da sacrifici.
Anche i viaggi non erano esenti da difficoltà come dimostra questa testimonianza del  giornalista e missionario Giovanni Preziosi, che nel 1907, denunciava: " ... È sempre uno scandalo il vedere come sono accumulati gli emigranti a bordo dei vapori in partenza, sdraiati per terra ed ammonticchiati in coperta per settimane intere, senza una scranna per potersi sedere; nei giorni di pioggia addossati sotto coverta, con aria rarefatta pregna di miasmi; nelle ore di pranzo buttati per terra, senza sedie e senza tavole, con i piatti in mano, costretti a compiere ogni più elementare servigio, con un personale di servizio che non ha esperienza ed attitudine sufficiente, raccogliticcio nella parte rilevante, il quale è in genere privo della più elementare educazione ed urbanità. Anche le tabelle dei viveri, specie sui bastimenti di bandiera estera, non sono sempre i più logici, e la pulizia non è troppo rispettata. ...".
Ma non sempre le navi arrivavano a destinazione: i piroscafi Ortigia e Sudamerica provocarono rispettivamente 249 e 80 morti nel 1880, l’Utopia (576 morti) nel 1891, il Bourgogne (549 morti) nel 1898, il Sirio (292 morti) nel 1906, il Principessa Mafalda (385 morti) nel 1927.
Ma il naufragio più famoso, o meglio quello che più è rimasto nell'immaginario collettivo, è quello del piroscafo Sirio, tanto che è nato un canto su questo avvenimento: Il Sirio 10.
I morti effettivi del naufragio del Sirio furono di più, circa 500, di quelli ufficiali in quanto a bordo si trovavano numerosi clandestini  imbarcati in porti francesi e spagnoli, dopo la partenza da Genova; forse per questi soste la nave stava viaggiando al massimo della velocità proprio per recuperare il ritardo.
Mamma mia dammi cento lire 11 è un altro famoso canto popolare che, pur non essendo legato ad un particolare naufragio, racconta la paura di chi partiva ma anche di chi restava a casa.
A conclusione di questa carrellata di canti ispirati dall'epopea dell'emigrazione italiana ritengo doveroso inserire un testo di composizione recente, scritto in talian, la lingua parlata, negli stati meridionali del Brasile, dai discendenti degli emigranti degli ultimi venticinque anni del XIX secolo, che ha per titolo Recordarse dei nostri bisnonni 12.
L'autore, Valter Marasca, è uno di quei discendenti.
NOTE
1  Donna Lombarda è forse la ballata più diffusa in Italia. Il canto ha origine antica e numerosissime varianti regionali e narra la storia di una moglie che, spinta dal proprio amante, cerca di avvelenare il marito.
Il testo, di probabile origine medioevale, ha mantenuto nel tempo una sorta di attualità aderente allo stereotipo popolare della donna infedele, ingannatrice e crudele.
Viene fatta risalire dagli studiosi di musica popolare all'epoca dei Longobardi, quindi questa è una canzone che dovrebbe avere più di mille anni.
2  Antonella Benvenuti Mala aria - Il Veneto della carestia e della valigia
3  Edoardo Pittalis, nel libro Dalle Tre Venezie al Nordest.
4  Ce partence dolorose / su la place di Tarnep / o ai lassât la me morose / par no vedêle par un pieç.
5  Montagnutis, ribassaisi / fàit un fregul di splendôr / che ti viodi ancje' une volte / bambinute dal Signôr.
6  Biel vignint da l'Ongjarie / la cjatai sul lavadôr / Bandonai la companie, / mi metei a fâ l'amôr.
7  L'è ben ver che mi slontani / dal paîs, ma no dal cûr / stà pur salde tu, ninine, / che jo torni se no mûr.
8  (solo il ritornello) Ma se ghe penso alloa mi veddo o mâ,/ veddo i mæ monti e a ciassa da Nonsiâ, / riveddo o Righi e me s'astrenze o chêu,/ veddo a lanterna, a cava, lazzû o mêu... / Riveddo a séia Zena illûminâ, / veddo là a Foxe e sento franze o mâ / e alloa mi penso ancon de ritornâ / a pösâ e osse dov'ò mæ madonnâ.
9  Trenta giorni di macchina a vapore, / nella Merica che semo arrivati, / ma nella Merica che semo arrivati / no abbiam trovato né paja né fien. / E Merica Merica Merica / cossa sarala sta Merica? / Merica Merica Merica, / in Merica voglio andar. / Abbiam dormito sul nudo terreno / come le bestie che van riposar. / E la Merica l’è lunga l’è larga, / circondata da fiumi e montagne; / e co’ l’aiuto dei nostri Italiani / abbiam formato paesi e città.
E Merica Merica Merica … / E co’ l’aiuto dei nostri Italiani / abbiam formato paesi e città.
10        Il quattro d'Agosto, le cinque di sera / Fu quando da Genova il Sirio partì. / Quando da Genova il Sirio partiva / Per l'America al suo destin. / Sirio. Sirio, la misera squadra. / Per molta gente la misera fin! / Senza timore il Sirio correva / Legger, leggero sul placido mar. / Sull'alto mare la nave s'infranse / Incontrando lo scoglio fatal. / Sirio. Sirio,la misera squadra. ... / Quattro barchette navigan sul mare, / In soccorso dei nostri fratei. / Padre e madre bacian suoi figli. / E, poi, sparivano fra l'onde del mar. / Sirio. Sirio, la misera ... / Ed a bordo un Vescovo c'era / Dando a loro la benedizion. / Oh sorte misera pel Sirio infelice / Il mar profondo fu tomba crudel! / Sirio. Sirio,la misera ...
11        Mamma mia dammi cento lire / che in America voglio andar! / Cento lire io te li dò, / ma in America no, no, no. (2v.)
I suoi fratelli alla finestra, / mamma mia lassela andar. / Vai, vai pure o figlia ingrata / che qualcosa succederà. (2v.)
Quando furono in mezzo al mare / il bastimento si sprofondò. / Pescatore che peschi i pesci/ la mia figlia vai tu a pescar. (2v.)
Il mio sangue è rosso e fino, / i pesci del mare lo beveran. / La mia carne è bianca e pura / la balena la mangierà. (2v.)
Il consiglio della mia mamma / l'era tutta verità. / Mentre quello dei miei fratelli / l'è stà quello che m'ha ingannà. (2v.)
12        Fa de più de cento ani / che i Taliani qua i zé rivai; / zé rivati de bastimento, / i gà sofresto pezo de animai; / i gà trovato puro mato, / sensa querte i dormiva in tera; /i gà lotà tanto tanto / quasi come èser ne la guera.
Bisogna recordarse de i nostri bisnoni / che grasie a lori encoi noi semo qua!
De manara i taieva le piante / per piantare formento e milio; / quelo zera per el suo sustento / pena rivati qua n te sto paise. / I g à piantà tanti vignai / I gà inpienesto le bote de vin: / l era Italiani che ghe fea veder / la so forsa a tuto l Brasil / Bisogna recordarse de i nostri bisnoni / che grasie a lori encoi noi semo qua!
La domenica i ndeva a mesa, / fioi e fiole e i sui genitori; / i gaveva tanta fede a Dio / che zé pupà anca de tuti noi;
se tuta la gente del mondo / fose stata come i nostri biznoni / deso l mondo el saria ben n antro, / sensa guera e meno povertà! / Bisogna recordarse de i nostri bisnoni / che grasie a lori encoi noi semo qua!
Quando l era giorni de festa / se riuniva diverse fameie; / i cantava, i giugheva a le boce, / a giugar carte i pasea noti intiere; / ben contenti i giugheva a la mora / e i bevevo anca tanto vin; / quando che ghe bateva la fame / i magnea polenta e scodeghin / Vardé adeso, me cari frateli, / che cità e che bele colonie; / tante strade e che grande industrie / che i ga fato per noi per più sorte; / Noi qua adeso gavemo de tuto; / Ascolté cosa che mi ve digo: / recordeve de i nostri Italiani / che adeso i è là n te l recordarse de i nostri bisnoni / che grasie a lori encoi noi semo qua!


domenica 18 marzo 2012

Impossibile inserire in rete (per legge) le immagini dei monumenti italiani.

Su Il Gazzettino di oggi c'è un articolo che parla di Wikipedia, o meglio delle difficoltà di creare, all'interno della stessa, un archivio fotografico dei monumenti, nel più largo significato che si possa dare a questo termine, del nostro paese.
Infatti, se vi arrischiate ad inserire, non solo in Wikipedia, ma in un sito o blog qualsiasi, un'immagine -ad esempio- del palazzo ducale veneziano, siete passibili di denuncia.
"Stando a una norma del Codice Urbani per i beni culturali, infatti (una dei tanti codicilli che per fortuna nessuno osserva), nel nostro paese per riprodurre per uso non personale le immagini di monumenti pubblici ci vogliono precise autorizzazioni: solo che nessuno sa bene chi (soprintendenze, diocesi nel caso di chiese, enti locali?) sia tenuto a rilasciarle".     
Il corsivo riportato, che fa parte dell'articolo, evidenzia come sia impossibile -per legge- riprodurre le bellezze artistiche italiane e riportarle in rete, in quanto, anche se su un sito privato, sono di dominio pubblico e, quindi, sono necessarie autorizzazioni e ,magari, anche il pagamento di qualche tassa.
Ma, per non restare nel teorico, vi racconto un fatto realmente accaduto. Un blogger ha inserito, oltre al racconto delle viste, anche le foto scattate all'interno di alcuni campanili e le immagini dei panorami visibili dagli stessi. Dopo un certo numero di questi post, forse per una spiata, il blogger ha ricevuto una diffida da parte di un ufficio della sede vescovile a cancellare le immagini in questione. Preciso che la diffida è pervenuta tramite mail e non con una raccomandata e, quindi, la stessa, legalmente, non ha alcun valore.
Certo è che con queste leggi, magari un paragrafo o un comma sconosciuti, risalenti a decenni fa, quando internet non era pensabile, non si potrà mai arrivare da qualche parte. Poi, se si mettono anche gli attuali legislatori (forse sarebbe meglio non definirli così, vista la qualità dell'attuale classe politica) ad inserire ulteriori legacci, magari per la difesa di interessi corporativi e di qualche personaggio, allora proprio non si  va e non si andrà avanti.   

sabato 17 marzo 2012

17 marzo a Venezia: anniversario dell'Unità d'Italia - Nazario Sauro

Quest'oggi, a Venezia, durante la manifestazione del 17 marzo (anniversario dell'Unità d'Italia), è stato ricordato Nazario Sauro, martire irredentista.


17 marzo a Venezia: anniversario dell'Unità d'Italia

"Sotto due bandiere" è la denominazione data dal comitato che, in occasione dell'anniversario dell'unità d'Italia, ha organizzato il percorso odierno attraverso Venezia. Due bandiere sono il tricolore ed il gonfalone marciano, indebitamente abusato dalla lega. Lo slogan che è stato scandito dai partecipanti è: "veneziani tutti Italiani!".

In Campo San Giacomo sono state ricordate tre cittadine veneziane uccisa dai nazisti, negli ultimi giorni di guerra, mentre parlavano fra di loro.   
 

 In Campo Nazario Sauro è stato ricordato il martire istriano. 
 
 Un cittadino espone il tricolore al momento del passaggio del corteo

Ai giardini Papadopoli sono stati ricordati Pietro Paleocapa e Alessandro Poerio combattenti nella difesa di Venezia nel 1848-49
Il corteo si è concluso ai piedi del Ponte della Costituzione

mercoledì 14 marzo 2012

«Dante antisemita e islamofobo. La Divina Commedia va tolta dai programmi scolastici»

«Dante antisemita e islamofobo. La Divina Commedia va tolta dai programmi scolastici» 

Questo è il titolo di un articolo su Corriere.it che racconta di un'organizzazione,  Gherush92, che vorrebbe eliminare dagli studi scolastici la "Divina Commedia"  perché riporta passi antisemiti, contro l'islam e contro i gay. 

L'organizzazione i questione  gode  anche dello status di consulente speciale con il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite! 

Cose da matti!!!

Chissà cosa pensa Benigni!

Interessante anche la visita sul sito dell'organizzazione in questione http://www.gherush92.com/news_it.asp?tipo=A dove si trovano altre amenità!

 

domenica 11 marzo 2012

Finalmente! Hanno preso tre "writer"!!!

Hanno individuato tre "wraiter", individui con le menti bacate, che si divertono imbrattando i monumenti della nostra città, Venezia. Leggi l'articolo su "Il Gazzettino" di oggi.
Non si capisce che gusto ci provino: pensano forse di fare un'opera d'arte? Secondo me sono malati o stupidi, con preferenza per quest'ultima ipotesi.
Li hanno presi: un veneziano "di buona famiglia" (cosa vuol dire?), e due pordenonesi; quale sarà la punizione? Li metteranno in galera? (in questo caso butterei le chiavi in canale!!!). Pagheranno le pulizie dei monumenti, ma anche quelle dei muri meno "importanti"? 
Qui ci vuole una punizione esemplare! Purtroppo gli avvocati troveranno chissà quali scuse e, vedrete, finirà tutto in una bolla di sapone. 

Aggiornamento del 12.3
.....Sqon in un'intervista al Gazzettino lo scorso maggio a fare dei distinguo: «Ben vengano graffiti, libertà di espressione ma quando le tag sono troppe o imbrattano la città, danno fastidio anche a me»  
Sqon è uno dei tre!!! 
Lui dice, nell'articolo odierno che non imbratta i monumenti, ma solo muri intonacati e sporchi!!! 
Ma sono suoi i muri?  NO!!! E allora che stia fermo ed anche zitto: uno come lui non ha diritto di parola! 

lunedì 5 marzo 2012

Venezia: città lenta?


Alcuni giorni fa, precisamente venerdì 2 marzo, ho partecipato ad un incontro dal titolo "Città lenta - Venezia oltre la modernità".
Il tema proposto mi è sembrato molto interessante e, visto che si svolgeva al Teatro dei Frari (vicino a casa mia), ho approfittato. Sinceramente, all'ingresso, mi ha stupito l'organizzazione in quanto non si trattava del solito incontro con i relatori al loro tavolo e gli ascoltatori in platea; si entrava, almeno così diceva l'insegna alla porta, nell'"Osteria della cultura" con tavoli preparati per un rinfresco a base di salame, formaggio, nervetti, fagioli, bigoli in salsa, vino e quant'altro. I buoni piatti ed il buon vino dispongono l'animo a cose serene! C'era però un inconveniente, anzi due: il primo era quello delle panche che, dopo un'oretta, non ti permettevano di continuare a stare seduti per il mal di schiena; il secondo, invece, dipendeva dalla disposizione e dallo stare a tavola cosa che comporta il parlare con il vicino, magari di tutt'altre cose, disturbando chi voleva ascoltare i relatori. Detto questo, forse il tutto è venuto a costare qualcosa agli organizzatori e cioè al Circolo (perché si chiama circolo e non sezione come si usava una volta? Forse è più "in" o più "chic", o come si dice adesso ...più "figo") del Partito Democratico "Vivian".
Venezia, città lenta. Che significato vogliamo dare alla parola "lenta"? Io direi che, fisicamente, è veramente una città lenta: si va a piedi, o al massimo in vaporetto, e, quindi non si corre e non ci si affanna; in questo modo i cittadini s'incontrano, si guardano in faccia ed hanno più occasioni di comunicare. E tutto ciò mi sembra una cosa buona!
Se, invece, lenta si riferisce al non fare, a procrastinare ed a rimandare, allora questa non è cosa buona.  
Sì, Venezia è una città lenta e alternativa al resto del mondo; siamo abitanti di una città che va oltre la modernità, ma che,  purtroppo, deve tener conto anche di quello che sta oltre il ponte translagunare, cioè il resto del mondo. La velocità che sta al di fuori di Venezia, che è quindi la caratteristica della modernità, "... divora spazio e risorse, omologa la diversità, dissolve i contesti e distrugge gli ambienti ..." .    
Nel secolo scorso hanno tentato di fare di Venezia una città moderna, ma il tentativo non è riuscito, più che altro perché Venezia è refrattaria alla logica della velocizzazione, cosa di cui anche gli altri, ora, se ne stanno accorgendo. Purtroppo, però, la velocità e la modernità entrano in maniera pesante nella nostra città: ovviamente mi riferisco al turismo e, in particolare, al turismo "mordi e fuggi", al turismo senza cultura, cultura che, invece, è l'essenza di Venezia. Il pericolo incombente è che Venezia possa morire di turismo.
Ma cos'è la "cultura a Venezia"? In primo luogo è l'abitato stesso, ma poi anche tutte quelle organizzazioni (musei, mostre, fondazioni artistiche e musicali) che operano essenzialmente a livello internazionale ed alle quali molti veneziani si interessano; però non è solo questo. La cultura a Venezia è anche altro e cioè quell'assieme di risorse umane associate che esprimono ed elaborano pensiero ed attività le più diverse concentrate nel territorio urbano e per il territorio.
Ma tutte le proposte, per sostenere questo tipo di cultura che, quantitativamente, ma anche qualitativamente, è notevole, non troveranno alcuno sbocco se ci sarà il continuo sviluppo abnorme e passivo del turismo; quel turismo che butta letteralmente fuori  dalla città i suoi abitanti, quel turismo che converte in alberghi e case per turisti qualsiasi unità abitativa con un po' di stanze, quel turismo che trasforma i "bacari" in "pub". Un turismo becero al quale aspirano operatori turistici beceri il cui solo scopo di vita è solo il guadagno, i classici "schei", possibilmente in poco tempo. Con questo modo di operare il destino di Venezia è quello di non essere più Venezia: una città senza i suoi abitanti non è più una città.
Ed allora ben venga la cultura creata a Venezia per i veneziani, ma non solo. Qualcuno obietta che è troppa e la quantità degli eventi in questione è stata avvalorata anche da recenti ricerche; il mio parere, però, è che non c'è mai troppa cultura! Per fortuna non sono il solo a pensarlo.