lunedì 30 aprile 2007

1° maggio, si festeggia la strage!


Le statistiche del 2006 parlano chiaro: 1280 morti sul lavoro!
Se questa non è una strage, non saprei come definire l’evidenza del dato. Di questi, ben 280 si trovano nel solo settore edile.
Fra i 1280 morti c’è un’”escalation” di extracomunitari e di donne, quest’ultime ben 103.
Con tutte le nuove tecniche, anzi, nonostante le nuove tecniche e la possibilità di sistemi di sicurezza, i morti continuano ad aumentare.
La sicurezza costa ed allora … eliminiamola! Questo è senz’altro il “pensierino” fatto da molti dei nostri imprenditori, quelli non seri, che, purtroppo, stante l’evidenza dei numeri, non sono pochi.
Il costo del lavoro deve diminuire ed allora intervengono tutta una serie di trucchi, dai contratti atipici, agli appalti degli appalti degli appalti. Anche il fatto di una forte presenza di extracomunitari in questa statistica sta a dimostrare come ci sia un’ampia fetta di “lavoro nero”.
Ad ogni incidente si sentono ripetere sempre le stesse “manfrine” dai politici di turno, ma nulla cambia.
Insomma, la vita dell’uomo vale meno del profitto dell’imprenditore! Ed allora dobbiamo chiederci: “Cosa festeggiamo il 1° maggio? La strage?”

sabato 28 aprile 2007

L’ennesima conferma che esistono gli sfruttatori di Venezia a discapito dei residenti

Vorrei chiudere il mese di Aprile con il riproporre e commentare alcune notizie di cronaca, apparse ieri ed oggi nella stampa locale, che confermano quanto da me espresso più volte fin dai primi post in questo blog.
La prima, tratta da “ilVenezia” del 27 aprile, che potete leggere per intero cliccando qui, presenta la situazione di una zona di Venezia, nel sestiere di Cannaregio, nella quale ai residenti vengono posti vincoli nella libertà di circolare, sia via terra che per i canali, perché è stato approntato il set di un film in costume i cui protagonisti sono Monica Bellocci e Luca Zingaretti (ovviamente al seguito un nutrito numero di “paparazzi”). Venezia ha sempre ospitato volentieri queste lavorazioni anche perché, soprattutto in passato, erano una fonte di guadagno per parecchie persone, le comparse, ma anche per maestranze varie addette alla lavorazione vera e propria e questo perché, fino agli inizi degli anni ’50, in città era operante la Scalera Film. Però, in quegli anni e fino a qualche tempo fa, non c’era quella che possiamo definire una vera e propria limitazione della libertà individuale. Oggi i produttori si limitano a chiedere l’autorizzazione al Comune, ovviamente pagando (non molto in verità), e, una volta ottenutala, si sentono in obbligo di fare e disfare come vogliono. Se devono effettuare delle riprese in un canale, ed il periodo della vicenda non è quello attuale tolgono le barche, perché non sono quelle adatte, tagliando le catene, e le depositano in altri luoghi, senza avvertire i singoli proprietari, ma mettendo dei cartelli generici pochi giorni prima. Questo non è sufficiente perché le barche non vengono usate sempre come le automobili ed i proprietari, magari, non abitano in zona e non passano ogni giorno a vedere la propria barca. Ci sono anche le limitazioni nel passaggio di determinate calli; insomma è veramente una mancanza di libertà. Nel caso in questione vi sono poi delle riprese notturne con i conseguenti rumori prodotti dai macchinari e dalle voci: Venezia non è come le altre città tanto che basta un bisbiglio nella notte perché questo venga avvertito da chi abita nelle vicinanze che, ovviamente, non riesce a dormire.
Però c’è chi è contento: i gestori di bar e ristoranti!
Proprio coloro, non dico che siano quelli della zona interessata alla riprese cinematografiche, il giorno dopo (Il Gazzettino del 28 aprile) salgono all’”onore della cronaca” per il gran numero di contravvenzioni dovute soprattutto alla mancanza di pulizia ed igiene. Sono stati adottati ben 56 provvedimenti di chiusura (per alcuni non è la prima volta) e quasi tutti in centro storico. Si tratta di un numero elevato, checché ne dica il rappresentante della categoria.
Sono locali, quasi tutti bar, che, solo da poco tempo, hanno avuto il permesso di cucinare: si sono subito improvvisati “ristoratori” senza adeguare le strutture, senza mettere a norma gli impianti, soprattutto quelli che devono scaricare i fumi e gli odori che, invece, vengono immessi tranquillamente nell’aria, magari di fronte alle finestre di altri cittadini. Ma fare tutti gli adeguamenti costa ed allora i “nostri imprenditori” da quell’orecchio non ci sentono; loro devono soltanto incassare, incassare molto e, nel giro di pochi anni, ritirarsi a fare la bella vita con i soldi dovuti allo sfruttamento dei turisti e dei veneziani, che devono sopportare turisti e odori nauseabondi. Ogni tanto capita anche che qualche infezione intestinale colpisca gli avventori; conseguenze: pochi giorni di chiusura, la notizia sul giornale, quasi sempre senza nominativi se si tratta di italiani, mentre con tanto di dati anagrafici completi se, invece, sono cinesi!

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AGGIORNAMENTO del 29.4.2007

Ovviamente, come ci si aspettava, ecco arrivare i "distinguo" (vedi Il Gazzettino del 29.4).
Quello che non si capisce come possa chi per anni ha fatto il Segretario dell'associazione artigiani di Mestre, compito che ha svolto con assoluta competenza, assumere l'incarico di Assessore alle Attività Produttive e non avere "un occhio di riguardo" per gli "artigiani".
Mi sembra che ci siano troppe giustificazioni!
Chi sbaglia deve pagare! Altrimenti che fine fa la teoria del "libero imprenditore" che guadagna bene, però rischia tanto. In questo caso, mi sembra, si voglia eliminare i rischi per i "liberi imprenditori"!

domenica 22 aprile 2007

Finalmente una bella “notizia”!

Questa mattina, leggendo il quotidiano della mia città, Il Gazzettino, mi sono rallegrato nell’apprendere che cinque ragazzini (tre femmine e due maschi), che in tutto fanno 53 anni (11+11+11+10+10), hanno inventato “un’agenzia investigativa” e fanno i Giornalisti; va bene il maiuscolo perché, se continueranno e si dedicheranno a questa professione nel modo i cui lo fanno ora, allora diventeranno dei veri Giornalisti, così come li intendeva Kapuscinski.
Abitano nella zona di Viale San Marco, a Mestre, ed hanno messo in piedi una vera e propria redazione, anche con gli strumenti necessari ad operare.
Il servizio che appare su Il Gazzettino di oggi (per leggerlo clicca qui) non dice, però, se la loro fatica viene premiata con una qualche pubblicazione, magari solo per i loro coetanei, oppure se va a finire in internet. Se non è così, peccato! Auguro loro di cuore che ciò avvenga e, intanto, pubblico io due “pezzi” dell’Agenzia investigativa Briciola (clicca qui).
Buon lavoro, ragazzi!

sabato 21 aprile 2007

Continua, sempre più raffinato, il "phishing" contro le Poste Italiane

Sempre attivo, e sempre più raffinato, il phishing attivato contro Poste Italiane.
Attenzione!!!

Per maggiori informazioni clicca qui

venerdì 20 aprile 2007

25.4.2007 - San Marco: protettore religioso, ma anche politico, statale e … quasi “laico”.

In questo periodo c’è un gran parlare di “stato laico”, di “laicità dello stato” e di annessi e connessi. A questo proposito, vi segnalo un interessante e dotto post di Romina su Laicismo e laicisti.
L’argomento in questione mi dà, però, l’occasione di parlare nuovamente di San Marco, il protettore di Venezia, proprio in questi giorni vicini alla sua festa. Non meravigliatevi se parlerò di “laicità” parlando, nel contempo, di un santo.
San Marco è, forse è meglio dire “è stato”, un protettore particolare di una città particolare, una città-stato che restò in vita per oltre mille anni, più di Roma. Fu uno stato laico, nel senso più genuino del termine, che non disdegnava, anzi s’impegnava, di dimostrarsi religioso.
Venezia, ha sempre ribadito, tramite le sue leggi e la sua politica, la netta divisione tra potere dello stato e potere religioso, ed ha sempre combattuto, però, il potere temporale del papato e l’intromissione di quest’ultimo nella sua politica; questa avversione raggiunse il suo massimo dissenso nel 17° secolo. Basta rileggersi un po’ di storia per scoprire che la Serenissima, la Repubblica di San Marco, proprio per opporsi al potere temporale dei papi, venne scomunicata; sì, vennero proprio scomunicati tutti i suoi abitanti, dal doge all’ultimo popolano ed anche tutti i preti che non si fossero attenuti a quanto disposto dall’interdetto pontificio. Siamo nel 1606, e colui che combatté più decisamente contro questo potere fu un religioso, un servita, Fra Paolo Sarpi.
La storia di quel periodo si collega anche alla storia del doge Leonardo Donà che, proprio nel 1606 venne eletto alla suprema magistratura veneziana. Fu una contrapposizione molto forte, che arrivò ad isolare, per circa un anno, lo stato veneziano dagli altri stati europei
Ma veniamo a San Marco che fu il protettore della città per volere della stessa autorità statale; fu, si potrebbe dire, un santo di stato. Anche la leggenda , che vedeva in una profezia questo volere divino, fu senz’altro alimentata dal potere civile. Come fu il potere civile ad erigere, ed a rinnovare nel corso di più secoli, la Basilica intitolata all’evangelista. La Basilica di San Marco non fu mai sede vescovile, se non dopo il 1807, dieci anni dopo la caduta e la fine della Serenissima. San Marco è il massimo monumento della città, tempio di vita civile, oltre che di fede religiosa, testimonianza della grandezza di Venezia.
Per circa mille anni ha svolto le funzioni di Cappella Ducale dipendente direttamente dal Doge, che vi nominava il Primicerio a cui era conferita autorità episcopale, e Chiesa di Stato affidata alla tutela dei Procuratori di San Marco.
E' da sempre il tempio in cui le vicende del popolo e del governo veneziano hanno avuto la più alta celebrazione.
Venezia fu, quindi, una città, ed uno stato, laici, ma, nello stesso tempo, non privi di religiosità; basti pensare che alcuni dei templi più famosi vennero eretti, quali adempimento di voti, a seguito di ben precisi deliberati da parte del Senato della Repubblica, l’organo legislativo. Per non parlare poi delle numerose chiese e monasteri all’interno della città, molti dei quali furono abbattuti con l’avvento di Napoleone.
Un altro elemento che indicava la religiosità dello stato e del popolo veneziano fu la creazione delle “scuole di devozione” (scuole grandi e piccole)
“Viva Venezia, viva San Marco, evviva le glorie del nostro leon …” questo il ritornello di un famoso canto veneziano dell’ottocento, un inno alla città ed al suo patrono, un patrono religioso, ma anche politico, statale e … quasi “laico”.

domenica 15 aprile 2007

Fra un po’ di giorni sarà il 25 aprile …

Fra un po’ di giorni sarà il 25 aprile, una data che ha più valenze.
Per molti è importante perché si fa festa e basta; si può fare un “ponte”! Ma questo genere di valenza è meglio trascurarla. Per altri è una festa nazionale, la festa della liberazione dal nazifascismo e della fine della guerra. Per altri, ancora, è una festa della quale si sono appropriati i “rossi” e, quindi, è meglio non festeggiare.
Ma a me queste valenze non interessano in modo particolare.
L’ultima, poi, non fa proprio per me!

Il 25 aprile, invece, è anche, e soprattutto, il giorno di San Marco, il patrono di Venezia, un patrono che, per i veneziani, non ha solo valore dal punto di vista della fede; San Marco ed il suo simbolo, il leone, fanno parte della millenaria storia della Serenissima.
Un anno fa, proprio per questa occasione, avevo fatto un post inserendo il testo di una canzone in dialetto, di fine ‘800, in suo onore.
Ora voglio far conoscere, ovviamente ai non veneziani, un’usanza ed il perché della stessa, proprio di questa giornata.

In occasione della festa del Patrono i Veneziani usano donare il "bocolo" (bocciolo di rosa) alla propria amata; sulle origini di questo dono conosciamo due leggende.

Una riguarda la storia del contrastato amore tra una nobildonna, si dice una tale Maria Partecipazio (Partecipazio era una famiglia che dette più dogi alla città, proprio all’inizio) ed il trovatore Tancredi. Nell'intento di superare gli ostacoli dati dalla diversità di classe sociale, Tancredi parte per la guerra cercando di ottenere una fama militare che lo renda degno di tanto altolocata sposa. Purtroppo però, dopo essersi valorosamente distinto agli ordini di Carlo Magno nella guerra contro i Mori di Spagna, cade ferito a morte sopra un roseto che si tinge di rosso con il suo sangue. Tancredi morente affida a Orlando, il paladino, un bocciolo di quel roseto perché lo consegni alla sua amata.
Orlando, fedele alla promessa, giunge a Venezia il giorno prima di S.Marco e consegna alla nobildonna il bocciolo, quale estremo messaggio d'amore di Tancredi morente. La mattina seguente Maria Partecipazio viene trovata morta con il bocciolo rosso posato sul cuore e da allora gli amanti veneziani usano quel fiore come emblematico pegno d'amore.

Secondo l'altra leggenda la tradizione del “bocolo” discende invece dal roseto che nasceva accanto la tomba dell'Evangelista. Il roseto sarebbe stato donato a un marinaio della Giudecca di nome Basilio quale premio per la sua grande collaborazione nella trafugazione delle spoglie del Santo.
Piantato nel giardino della sua casa il roseto alla morte di Basilio divenne il confine della proprietà suddivisa tra i due figli. Avvenne in seguito una rottura dell'armonia tra i due rami della famiglia (fatto che, sempre secondo le narrazioni, fu causa anche di un omicidio), e la pianta smise di fiorire.
Un 25 aprile di molti anni dopo nacque amore a prima vista tra una fanciulla discendente da uno dei due rami e un giovane dell'altro ramo familiare. I due giovani si innamorarono guardandosi attraverso il roseto che separava i due orti.
Il roseto accompagnò lo sbocciare dell'amore tra parti nemiche coprendosi di boccioli rossi, e il giovane cogliendone uno lo donò alla fanciulla.


Che dopo questa usanza sia diventata un’occasione d’oro per i fioristi della città e per molti “vu cumprà”, di norma cingalesi, questa è un’altra cosa!
Però è un’usanza molto sentita dai veneziani ed è una tradizione molto antica e, quindi, non è paragonabile alle “feste importate” della “donna”, della “mamma”, ecc. ecc.


N.B. - Perché ho messo questo post in anticipo sulla scadenza? Perché i veneziani se la possano ricordare per tempo e, per i “non veneziani,” che saranno nella mia città in quel giorni, affinché non si meraviglino nel vedere per strada tanti uomini, di tutte le età, con uno o più “bocoli” in mano.

sabato 14 aprile 2007

“PHISHING”, TRUFFA E VIRUS con continue FALSE COMUNICAZIONI di POSTE ITALIANE

Ormai c’è chi è bombardato (anche tre al giorno) da e-mail di questo tipo.


Già in post precedenti vi avevo invitato a non credere a questo tipo di comunicazioni per diversi motivi: in primo luogo perché Poste Italiane non usa questo sistema per contattare i propri correntisti, poi perché il testo presenta parecchie anomalie (mancanza di parole accentate e caratteri in “cirillico”); inoltre l’orario di spedizione non è quello dell’Italia (+2000) ma di altri stati con diverso fuso orario (nell’immagine di questa volta è segnato +3000).
Ma c’è qualcosa in più da segnalare. Infatti, non si tratta solo di truffa o di “phishing”. Questa volta si tratta anche di virus informatico, in particolare di W32/Sdbot.KCX. Per maggiori informazioni sul virus, che a detta degli esperti ha “…caratteristiche abbastanza terrificanti…”, cliccate qui.

venerdì 13 aprile 2007

A proposito dell’isola di S.Elena.

Proprio in questi giorni, avendo trattato dell’isola di Sant’Elena in Venezia, ho ritrovato, sistemando (si fa per dire) le mie carte, questa “canzonetta” del 1863 dedicata al luogo in questione.
S’intitola “L’isoleta de S.Elena” e l’autore del testo è un certo G.Bartolini.
Il tutto si trova in una pubblicazione giacente presso la biblioteca “Querini Stampalia” di Venezia.
Riporto il testo in questione nell’immagine qui accanto.











Evidentemente, come si evince dalla descrizione, l’isola, sulla quale oggi sorge l’abitato, era un vasto prato, meta “turistica” dei veneziani fino al 1928, e raggiungibile solo in barca.

Dedico questo post a tutti coloro che amano Venezia anche in questi piccoli particolari.

mercoledì 11 aprile 2007

Scritte sui muri: "corsi e ricorsi storici"!

Le scritte sui muri di questi giorni, prima a Genova e quindi anche a Torino e Bologna, contro il vescovo di Genova e nuovo presidente della CEI Bagnasco, ma anche contro il Papa e, in genere, contro la Chiesa Cattolica, sono, senz’altro, una dimostrazione della stupidità umana e, purtroppo, “ … contro la stupidità perfino gli dei combattono invano.” (Schiller).
Ma il problema è anche un altro: stabilire chi, al giorno d’oggi, sia più stupido! Perciò, nel nostro caso, è più stupido chi ha materialmente scritto sui muri o chi ha ispirato quelle scritte?
E sì! Non mi si venga a dire che gli “ispiratori” non esistono!
Quelle scritte, come molte altre, non sono opera solitaria di “poveri idioti”, ma, invece, sono il risultato di una regia più o meno “occulta”, più o meno “intellettuale”, più o meno “politica”, più o meno “lobbistica”.
Sembra proprio che la “storia” si ripeta! Con questo mi riferisco ai famosi e funesti “anni di piombo” che, per chi non si ricorda, vuoi per età anagrafica, ma anche perché è nell’umana natura dimenticare, furono preceduti, oltre che da rapine di autofinanziamento ed attentati a strutture varie, da anni di “propaganda muraria”; scritte violente ed offensive, minacce di morte e deliranti “osanna” ad un comunismo irreale furono la “letteratura” che appariva sui muri delle fabbriche e nei centri cittadini con seguito di fogli propagandistici clandestini.
Poi dalla “propaganda” passarono all’azione, prima con sequestri e, poi, con “gambizzazioni” ed omicidi. Ma fino all’assassinio di Guido Rossa, operaio e sindacalista CGIL, la “sinistra” parlava di … “compagni che sbagliano”! Un po’ pochino, mi sembra!
E questo a tutti i livelli, sia ai vertici di partito, ma anche a livello di singoli iscritti.
A testimonianza di questa mia ultima affermazione ricordo un mio amico, iscritto al PCI, che mi raccontava come, agli inizi degli anni ’70, nel rientrare a casa, a notte inoltrata, trovava, in giro per Venezia, persone che conosceva perché già iscritte al PCI, intente a scrivere sui muri; anche lui li indicava come “compagni che sbagliavano”.
Poi, sappiamo tutti come è andata a finire!
Per fare “pendant”, la "destra" non è stata da meno: forse un po’ meno scritte ma, senz’altro, più stragi!

I "corsi e ricorsi storici" non sono una legge universale, però è una possibilità oggettiva che si avvera quando si ha la perdita della memoria del passato.
L’unica speranza è che la teoria di Giambattista Vico non diventi realtà!

martedì 10 aprile 2007

"Le correnti si stanno mangiando l’isola di Sant’Elena" - Occasione di ricordi.

Questa mattina (10 aprile) la locandina che pubblicizzava Il Gazzettino di Venezia portava come “titolone” : “Le correnti si stanno mangiando l’isola di Sant’Elena”.
La cosa mi ha subito preoccupato perché Sant’Elena, l’isola di Venezia che si trova nella zona sud-est della città, è stato il luogo che mi ha visto nascere e che mi ha accompagnato nei miei primi ventisette anni di vita. Con quest’isola ho, perciò, un particolare “rapporto”.
Letto l’articolo (clicca qui) mi sono rinfrancato perché, a quanto sembra, la cosa non è poi così grave.
E così colgo l’occasione per parlare un po’ di questa zona della mia città dove (fortunatamente!) non arriva la massa del turismo.
Intanto è bene precisare che Sant’Elena è formata da due isole, quella antica, dove si trova la quattrocentesca chiesa gotica intitolata alla santa, e quella sulla quale, a partire dal 1928, è nato il quartiere abitativo. Il pericolo, secondo quanto scrive il quotidiano, riguarderebbe l’isola antica, o meglio, la secca che, dalla parte orientale, si trova davanti la chiesa e l’attuale Collegio Morosini.
Quella secca la ricordo bene perché è lì che ho imparato a nuotare: ci si portava dalla “porta d’acqua” del convento annesso alla chiesa, si camminava nell’acqua bassa con le alghe che ti avvolgevano le caviglie e si arrivava fino al “buco della bomba”, una depressione, di qualche metro di profondità, formata da una bomba inesplosa.
Oltre le briccole il Canale delle Navi divide la secca dall’Isola della Certosa. In mezzo a questo canale furono abbandonate, alla fine della guerra, due porte dei bacini di carenaggio, porte che divennero dei ruderi; una fu portata via qualche anno dopo e l’altra solo vent’anni fa. Quest’ultima, toccando il fondo, aveva influito notevolmente all’innalzamento del fondo stesso del canale ed all’imbonimento di parte delle secche sia dalla parte di Sant’Elena che della Certosa.
Pertanto, con il ripristino della situazione anteguerra e con altri lavori, nel resto della laguna, che hanno provocato una velocizzazione delle correnti marine, anche questa zona si trova interessata al fenomeno. D’altra parte, anche quando si doveva raggiungere a nuoto le “porte del bacino”, per poi da lì fare i tuffi dall’alto, non era semplice superare il centinaio di metri di canale dove, anche allora, la corrente era notevole.
La chiesa, in stile gotico, presenta un bel portale rinascimentale di Antonio Rizzo con il monumento commemorativo del comandante Vittore Cappello, potentemente verista nel volto dello stesso.
L’isola antica, dove si trova anche il campo sportivo, è divisa dal quartiere da un canale attraversato da quattro ponti in legno. La parte moderna, sulla quale si trovano le case, è un’isola “artificiale”; si tratta di una zona della laguna con acqua bassa, dove spesso il terreno affiorava e che, nel corso di molti anni, è stata imbonita da detriti edili (nei primi dell’800, durante il periodo napoleonico, furono abbattute molte chiese) e da fango scavato dai canali lagunari; questo genere di imbonimento viene chiamato sacca.
Per molti anni rimase un enorme prato verde, zona di “scampagnata” dei veneziani e solo nel 1928 fu iniziata la costruzione del quartiere moderno; del primitivo verde rimane la vasta pineta che si affaccia sul Bacino di San Marco.


Il tutto era, ed è, un luogo ideale per i giochi di bambini e ragazzi: cose che ancora mi ricordo con molta felicità e nostalgia.



mercoledì 4 aprile 2007

Il giornalismo, secondo Kapuściński

Più volte ho trattato su questo blog di giornali, giornalisti e giornalismo, pur, come già precisato, non essendo del mestiere. Confesso, però, che mi sarebbe piaciuto esserlo e, soprattutto, esserlo come lo è stato Ryszard Kapuściński
Di questo personaggio, giornalista e scrittore polacco, sempre attento ed acuto osservatore, deceduto di recente, ho trovato su Lapidarium – In viaggio tra i frammenti della storia” (Giangiacomo Feltrinelli Editore – gennaio 2001) questa “scaletta” di una conferenza che l’autore ha tenuto a Rotterdam, che ripropongo ai lettori di questo blog.

“Conferenza a Rotterdam. Parlo del ruolo e del lavoro di un corrispondente all'estero nell'odierna società.
l) Sono diventato corrispondente estero nel 1956, a ventiquattro anni. Da allora non ho mai smesso di esercitare questa professione, specializzandomi soprattutto nei problemi dei paesi sottosviluppati, in particolare dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina.
2) In tutto questo periodo l'ambiente dei corrispondenti esteri è molto cambiato. Una volta dominavano i reporter della carta stampata. Oggi sono in netta minoranza.
3) Adesso regnano le troupe televisive. Nel nuovo contesto i giornalisti sono pochi. Prevalgono gli operatori, i tecnici del suono e delle luci, gli elettricisti, tutta gente molto più preoccupata di scovare una presa per la spina e controllare che il cavo non sia troppo corto, che non di decifrare il senso e la sostanza degli avvenimenti.
4) Tale mondo televisivo si distingue per un forte spirito di competizione. L'essenziale non è informare di quanto succede nel mondo, ma che "gli uni sorveglino gli altri". Ne consegue che i media si spostano sul globo terrestre in massa, a frotte, si incontrano tutti sempre nello stesso unico posto, e in quello si fermano e lavorano. Intanto il resto del mondo sprofonda nella nebbia.
5) Esistono sempre più stazioni televisive, stazioni radio e giornali. Automaticamente ci sono sempre più giornalisti. In questa professione i dilettanti sono sempre stati numerosi, ma oggi invadono addirittura il settore. Molti di loro non si ren­dono conto che fare il giornalista significa innanzitutto lavo­rare continuamente su se stessi, formarsi, acquisire conoscen­ze, cercare di comprendere il mondo.
6) La televisione trasmette la sua versione degli avvenimenti e perfino la sua visione del mondo, della politica, della storia. Il guaio è che questa comincia a essere l'unica versione dei fatti (e al contempo della storia in atto al momento) che arriva al cosiddetto uomo della strada, al membro anonimo della società di massa. Sempre più, quindi, ci facciamo un'i­dea del mondo basata non sulla conoscenza dei fatti e dei pro­cessi che li determinano, ma sulle immagini televisive di quegli eventi; vale a dire su una loro versione interpretata e propinata all'utente, pronta da guardare e da prendere per buona.
7) Oggi il potere politico si rende conto della forza e del significato dei media. Sa come possano diventare un surrogato di governo. anzi un reale e potente centro di potere. e come il governo politico possa perderne il controllo e il dominio.
8) AI tempo stesso viviamo in un mondo sempre più complesso. sempre più difficile da spiegare attraverso i mezzi della comunicazione di massa.
9) Il livello dei media non è determinato solo da manager e giornalisti. Viene dettato anche. e forse in modo decisivo. dal livello degli utenti (il cosiddetto utente medio). Ma poiché non sta bene criticare il livello della società, si attaccano i media. accusando la bassa qualità dei programmi e addirittura il qualunquismo, la banalità e il kitsch.”